sabato 26 marzo 2011

Harem


L’ harem (dall’arabo “harim” che significa “luogo” proibito, sacro, inviolabile), fin dai tempi più antichi, ha esercitato sull’occidente un fascino quasi ossessivo, ispirando centinaia di dipinti orientalisti del diciottesimo, diciannovesimo e ventesimo secolo, ma  è necessario fare una distinzione tra due tipi di harem: quelli imperiali e quelli domestici.
I primi esistevano quando l’imperatore, il suo visir, i generali, gli esattori delle tasse etc. avevano influenza e denaro sufficienti a comperare centinaia e a volte migliaia di schiavi dai territori conquistati e quindi provvedere alle ingenti spese di gestione domestica. Fiorirono con la dinastia degli Omayyadi, una dinastia araba del settimo secolo stabilitasi a Damasco, per finire poi nel 1909 con gli Ottomani, quando l’ultimo sultano, Abdelhamid II, venne deposto dalle potenze occidentali  e il suo harem fu smantellato.
Capo supremo era il sultano il quale poteva scegliere tra le bellissime schiave che popolavano il suo harem, la propria donna (una o più, sino a quattro) e le sue favorite. La scelta doveva essere fatta con molta cura e  approvata dalla "validè sultàn"( madre del sultano). Queste donne erano poi  istruite in varie arti e discipline e a loro spettava il titolo di “hàtùn” che venne in seguito cambiato con “kaden efendi”(signora). Tutte loro avevano un appartamento privato nell'harem e un seguito di cameriere. Le stanze, disposte attorno ad un cortiletto avevano ingressi sorvegliati da eunuchi durante il giorno, e da  guardiane durante la notte. Tra tutti gli appartamenti, il più grande, dopo quello del sultano, era l'appartamento di sua madre, vera imperatrice, direttrice e padrona dell'harem. I sultani che amavano più di una donna dovevano sottostare ad una severa etichetta, che regolava le loro notti d'amore secondo un ordine ben definito. Il turno era fissato secondo la legge coranica in base alla quale il marito deve soddisfare tutte le mogli in modo paritario. Era la donna che si recava nella camera del sultano, non erano mai ammesse due donne contemporaneamente ed è falsa la notizia secondo la quale le donne si schieravano in attesa della visita del sultano, e questi passava davanti a loro lanciando un fazzoletto a quella che sceglieva per la notte. Con buona pace dei sognatori che popolano l'harem d'orge e di baccanali, del tutto contrari invece alla Legge islamica, la tabella che regolava il succedersi delle varie donne nella camera del sultano notte dopo notte era tenuta dalla tesoriera in capo e conosciuta da tutti. Tuttavia con alcuni sultani la vita nell'harem fu meno convenzionale.
Gli harem domestici, sono invece quelli che continuarono ad esistere dopo il 1909, quando i musulmani persero il potere e le loro terre furono occupate e colonizzate. La parola harem viene qui utilizzata, per indicare in generale la parte della casa che è riservata alle donne (haremlik) ed è separata dalla zona degli uomini (selamlık).
Sono in pratica delle famiglie allargate dove  un uomo, i suoi figli e le loro mogli vivono nella stessa casa, uniscono le risorse, senza schiavi e senza eunuchi, e spesso con coppie monogamiche, dove tuttavia sopravvive l’usanza della reclusione femminile.

ill:" Interior of a harem" di Leon Auguste Adolphe Belly

lunedì 7 marzo 2011

"Il sangue dei fiori" di Anita Amirrezvani

inizia così......



Prima non c'era e poi c'era. Prima di Dio non c'era niente.
C'era una volta, in un piccolo villaggio, una donna che desiderava tanto avere un figlio. Le aveva provate tutte:pregava assiduamente, prendeva pozioni di erbe, mangiava uova di tartaruga, spruzzava d'acqua le teste dei micini, ma senza alcun risultato. Infine si recò in un cimitero lontano, dove c'era un antico leone di pietra, e strofinò il ventre sul fianco della statua. Nel momento in cui il leone tremò, nella donna si accese la speranza, e lei tornò a casa con la certezza che il suo più grande desiderio sarebbe stato esaudito. Quando spuntò la luna nuova, lei diede alla luce la sua piccola, destinata a restare figlia unica. 
Dal giorno della sua nascita, i genitori non ebbero occhi che per lei. Ogni settimana il padre la portava a fare lunghe passeggiate in montagna, trattandola come il figlio maschio che aveva sempre desiderato. La madre le insegnò a fare tinture, mettendo a macerare i fiori di cartamo, essicando le cocciniglie, le bucce di melagrana e i gusci di noci e annodando la lana tinta per fare tappeti. In breve tempo la ragazzina imparò tutti i segreti della madre e si guadagnò la reputazione di miglior tessitrice tra le giovani del villaggio.
Quando compì quattordici anni, i genitori decisero che la loro figlia si doveva sposare. Per raggranellare il denaro necessario alla dote, il padre lavorò duramente nei campi, sperando in un buon raccolto, e la madre filò la lana fino a raggrinzirsi le dita, ma nonostante i loro sforzi, la somma racimolata non era sufficiente. La ragazza pensò che, per aiutarli a mettere insieme la sua dote, avrebbe potuto tessere un tappeto dai colori così brillanti da abbagliare gli occhi di chi lo guardava. Invece delle consuete tonalità di rosso e di marrone usate nel villaggio, il suo tappeto avrebbe dovuto risplendere dello stesso turchese di un cielo estivo.
La ragazza andò da Ibrahim il tintore, supplicandolo si svelarle il segreto del turchese...


                                 8 marzo festa della donna:
                                                  Auguri a tutte le donne


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