martedì 15 aprile 2014

Abbigliamento nel mondo arabo tra passato e presente: kefiah


La kefiah è il tradizionale copricapo arabo, diffuso in tutto il Medio Oriente. E’ costituito da un telo di lana, cotone o seta che, piegato a triangolo, viene avvolto attorno al capo in vari stili oppure viene indossato mettendolo a triangolo sulla testa, con due punte cadenti sulle spalle e la terza che scende a proteggere la nuca e il collo. La kefiah  può essere fermata sul capo da una doppia banda nera ( una sorta di “otto” piegato su se stesso per formare un doppio cerchio) il cui nome è iqal. Sotto la kefiah alcuni uomini portano un taqiyah  o tagiyah, una sorta di cappello da preghiera musulmano indossato per lasciar traspirare meglio il capo (a volte infatti è traforato). Le kefiah palestinesi, in genere, sono a scacchi neri e bianchi, ma esistono anche quelle rosse e bianche, chiamate shemag, indossate soprattutto dai giordani, e quelle tutte bianche chiamate ghutrah utilizzate nella Penisola Arabica. 
La kefiah è conosciuta anche con altri nomi  come yashmag, mashadad e hattah.
Questo copricapo tradizionale è spesso indossato nei paesi occidentali come segno di solidarietà verso il popolo palestinese.
Il significato storico-politico che si nasconde dietro quest'indumento risale ai primi anni del Novecento. La kefiah era usata soprattutto dai contadini palestinesi per ripararsi dal sole e dal vento e si contrapponeva ad un altro tipo di copricapo, il fez, usato, invece, nelle aree urbane e quindi dalle persone più facoltose. Ma il fez era anche il simbolo dell'Impero Ottomano che aveva governato su tutte le terre attorno al Mediterraneo dal 1299 fino al 1923. Così negli anni Trenta per contrapporsi all'avanzata dell'Europa in Palestina,perchè dopo la Prima Guerra Mondiale ne venne dichiarato il protettorato inglese, i palestinesi incominciarono ad indossare la kefiah come simbolo del patriottismo palestinese.


martedì 1 aprile 2014

Ignoranza e conoscenza


Il discepolo di un Sufi si vantava delle proprie cognizioni.
Ma un giorno fu trovato impreparato, non riuscendo ad affrontare una certa questione.
Allora si recò dal suo maestro, per chiedere consiglio.
Come molti Sufi, questo saggio leggeva nel pensiero e disse:”So già cosa ti è successo. Chi è causa del suo mal, pianga se stesso!”
“Che vuoi dire?”, replicò il discepolo.
“Mi spiegherò meglio.
Come pensi sia riuscito ad attingere le mie conoscenze?
“Poiché non ci arriveresti, te lo dirò io. Non ho fatto altro che chiedere istruzioni, ogni volta che ignoravo qualcosa.
“Se tu fingi di conoscere certe nozioni, come potrai mai possederle?
“D’ora in poi dà retta a me: ciò che non sai, ammetti di non saperlo. Solo in questo consiste la vera conoscenza.”

tratto da: "101 storie sufi"

Ill: Meeting of Sufi Saints. Mughal painting, circa 1645 AD. National Museum


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