sabato 17 dicembre 2016

La civiltà araba

Averroè
Gli Arabi lasciarono un segno profondo del loro passaggio tra i popoli conquistati. 
Uno dei principali loro meriti fu senza dubbio lo sviluppo dato dall'agricoltura: essi infatti valorizzarono con accurati lavori di irrigazione zone incolte, importarono specialmente in Spagna e in Sicilia nuove colture (riso, giardini ricchi di limoni e di aranci, di albicocche e di palme da dattero.
Inoltre dopo averne appreso l'uso nell'Iran (Persia), introdussero in Occidente il mulino a vento, che costituì una nuova importante forma di energia, destinata insieme alla forza dell'acqua e a quella degli animali ad aumentare la produzione e a favorire i consumi. 
Dall'altra parte, non potendo in base al Corano possedere le terre che occupavano, fecero a poco a poco scomparire i latifondi, assai diffusi nel mondo romano e bizantino, e dettero particolare sviluppo alle piccole proprietà, affidandole alla cure di elementi locali.
Perfetti artigiani, gli Arabi si dedicarono anche, e con pieno successo, alla fabbricazione delle stoffe, della carta, del cuoio, della seta e delle armi e di conseguenza, favoriti da una potente flotta mercantile, ai commerci e ai traffici, che svolsero indisturbati in tutto il Mediterraneo fino al sorgere della repubbliche marinare italiane.
Testimoniano il progressi da essi raggiunto nella attività industriali le famose sete, dette damaschi dal nome della città di Damasco in Siria dove venivano anche create della tele leggerissime, dette mussoline da Mossul nella Mesopotamia dove erano prodotte in gran quantità ed anche il cuoio rosso del Marocco, noto appunto come cuoio marocchino. 
Anche il frequente uso di espressioni di origine araba nel linguaggio marinaresco di ogni paese (ad esempio arsenale, dàrsena, dogana, ammiraglio) conferma l'importanza dell'attività commerciale da essi svolta nel bacino del Mediterraneo. 
Gli Arabi svilupparono e approfondirono anche la conoscenza della filosofia e della medicina. Essi infatti scoprirono opere filosofiche e scientifiche dell'età antica, come gli scritti del filosofo greco Aristotele, giunti attraverso il Medioevo sino a noi per merito di due famosi dotti arabi: il medico Avicènna (secolo XI) e il filosofo Averroè (secoloXXI).
Dettero pure grande importanza agli studi astronomici, diffondendo ovunque l'uso di vocaboli quali nadìr, zènit, àzimut, e agli studi matematici, in  cui fecero particolari progressi: fra l'altro inventarono l'algebra (in arabo "arte delle soluzioni) e introdussero l'uso dello zero e delle cifre. Si distinsero inoltre negli studi giuridici e scientifici e nell'organizzazione di biblioteche.

lunedì 21 novembre 2016

I 3 fratelli (fiaba marocchina)


C’era una volta e c’è ancora un piccolo villaggio in Marocco, dove viveva un uomo buono, il suo nome era Mustapha.
Un giorno Mustapha stava camminando sotto il sole del deserto quando incontrò una fanciulla, con la carnagione color del latte, tanto bianca quanto la sua era scura e ambrata. Il sussulto che provò nel vedere la giovane Amina (così si chiamava la fanciulla) non lo lasciò più e poiché anche il cuore di lei batteva forse nel petto ogni volta che ripensava allo sguardo di Mustapha, i due giovani si sposarono e un bel giorno di primavera nacque Mohamed, gli occhioni scuri come la notte che brillavano sul visino color della spremuta di olive.
Gli anni passarono e venne il giorno in cui, a causa di una carestia, Amina fu costretta a trasferirsi in Francia con il piccolo Mohamed, per lavorare in una grande fabbrica. Per Amina furono tempi molto duri: si alzava che era ancora buio e la sera, esausta, rientrava con l’autobus fino ad arrivare nella sua piccola casetta, nella periferia della grande città.
Passarono gli anni e fu così che Amina notò il giovane francese che viaggiava sul suo stesso autobus e che ogni sera le lasciava il proprio posto perché potesse sedersi. Tra Amina ed Etienne, questo era il nome del giovane francese, nacque l’amore, così Amina decise di divorziare da Mustapha.
Presto nella piccola casetta della periferia della grande città francese, Mohamed ebbe un fratellino, Samir, con gli occhioni scuri come la notte che brillavano sul visino color del latte.
Gli anni passarono e venne il giorno in cui Amina parti con i suoi bambini per una vacanza al villaggio dove era nata. Fu così che Mohamed poté riabbracciare il suo papà e Amina rivide Mustapha. Bastò uno sguardo e il loro cuore riprese a battere l’uno per l’altra, come se tutti quegli anni non fossero mai trascorsi, Amina non tornò in Francia e si risposò con Mustapha. Nacque il piccolo Rachid, che assomigliava tutto al suo papà e al fratello maggiore Mohamed.
Gli anni passarono e venne il giorno in cui il viso colo del latte di Samir sembrò ai suoi fratelli troppo diverso dal loro, così iniziarono a escluderlo dai loro giochi. Samir piangeva e stava sempre da solo, senza capire che differenza potesse mai fare il colore della pelle: non era forse vero che a tutti e tre piaceva correre, giocare al pallone, colpire le lattine con i sassi? Non era vero che a nessuno di loro piaceva andare a scuola, fare i compiti, dormire al buio?
Un giorno Mohamed e Rachid stavano giocando in un campo appena fuori dal villaggio e trovarono a terra dei bussolotti. Improvvisamente, da uno dei bussolotti usci un mago che disse ai due bambini: “Ognuno di voi ha diritto a un desiderio, ma uno, uno solo per ciascuno, diverrà realtà”.
Fu così che uno dei due fratelli espresse il desiderio al Grande Mago: “Voglio diventare bianco come Samir”. Il tempo di sbattere le palpebre e la sua pelle scura color della spremuta di olive divenne chiara come il latte di capra.
Disse il mago rivolgendosi al fratello: “Hai diritto anche tu a un desiderio, ma uno, solo uno, diverrà realtà”. Il bambino non ci pensò molto e disse al mago: “Voglio che mio fratello ritorni nero”. Il tempo di un sospiro e la pelle del fratello ritornò scura come una spremuta di olive. E fu così che il mago tornò nel bussolotto pensando tristemente che gli esseri umani hanno tutti lo stesso cuore che batte nel petto e che il sangue che scorre nelle loro vene è dello stesso colore e che i sentimenti che scuotono la loro anima sono uguali…..eppure vedono solo le diversità esteriori, che hanno la stessa importanza che ha per l’infinito uno sbattere di palpebra.


giovedì 20 ottobre 2016

Il palazzo Topkapi


Il Palazzo di Topkapi, costruito nel 1453 in seguito alla presa di Costantinopoli da parte di Maometto il Conquistatore che vi ha abitato fino alla sua morte, ha ospitato ben 26 dei 36 sultani dell’Impero Ottomano. 
Superata la Porta Imperiale ci si trova di fronte ad un edificio immenso con chioschi, haremhammamcortili, corridoi e belvedere che nascono dalle continue modifiche e ampliamenti introdotti dai diversi sultani. Il Palazzo inframmezzato da corti, ha ampi cortili abbelliti da giardini rigogliosi e fontane, tutto in stile moresco. Sul primo ampio spazio (dedicato al corpo di soldati cristiani convertiti all’Islam) si affaccia la chiesa di Santa Irene e la fontana nella quale si dice che i giannizzeri pulissero le spade dal sangue delle esecuzioni che avevano luogo in questo cortile.
Dalla Porta del Saluto, dalla quale potevano entrare a cavallo solo il sovrano e sua madre, si accede alla Corte delle Cerimonie: qui si tenevano le assemblee sugli affari di stato, le adunate del popolo che manifestava il proprio scontento al sultano e il pagamento dello stipendio ai giannizzeri.
L’ala del palazzo dedicato alle donne del sultano era composto da 300 stanze, 8 bagni, 4 cucine, 2 moschee, 6 cantine, una piscina e un’infermeria: vi abitavano circa mille donne, tra cui la regina madre, le favorite del sultano, ma anche ex favorite che gli avevano dato un figlio, domestiche, nutrici, sarte, musiciste, danzatrici e schiave, sorvegliate dagli eunuchi, gli unici uomini oltre al sovrano che erano ammessi in questa parte del palazzo.
Anche l’harem era diviso internamente da cortili, alloggi degli eunuchi, gallerie segrete, fontane e fresche corti affacciate sul mare. Nelle cucine lavoravano circa 1000 persone che apparecchiavano ogni giorno per 5000 coperti e che arrivavano a 15000 durante le feste. Preparavano circa 50 portate per ogni banchetto, ma i pasti del sultano venivano preparati a parte per ragioni di sicurezza.
Sulla terza corte si affaccia il Palazzo Arz Odasi che fungeva da sala di ricevimento del sultano; qui il rumore della fontana serviva per impedire agli estranei di ascoltare le conversazioni. Troviamo anche la Biblioteca di Ahmet III che un tempo custodiva ben 6000 volumi, manoscritti inediti di diverse culture e Hirka-i-Saadet, il padiglione delle reliquie dei santi, con i cimeli più preziosi del mondo islamico come alcuni oggetti appartenuti al Profeta Maometto, il suo mantello, il suo stendardo, un dente, un’impronta del piede e perfino alcuni peli della sua barba.
Sebbene fosse considerata un tabù la pittura di esseri viventi, i sultano incentivarono questa arte e si fecero realizzare miniature particolarmente pregiate dei loro ritratti che tenevano nascoste nella Sala delle miniature. In queste 4 sale sono custoditi tutti gli oggetti preziosi appartenuti ai sovrani: dai candelabri di oro massiccio con incastonati 6666 diamanti al trono ricoperto di lamine d’oro fino al pezzo più importante della collezione, il Diamante del mercante di cucchiai, di ben 86 carati e circondato da 49 brillanti. Non solo gioielli, ma anche i doni di capi di stato che per secoli hanno fatto visita ai sultani e armature di rappresentanza. Chiamata anche il Giardino dei Tulipani, il fiore preferito dal sultano Ahmet III, la quarta corte vanta una meravigliosa terrazza affacciata sul  Bosforo, sicuramente una delle più panoramiche grazie anche al Baldacchino in rame circondato da vasche di marmo e fontane gorgheggianti con una magnifica vista sul Corno d’Oro. In questo angolo solitario del palazzo il sultano si faceva servire la cena dopo il tramonto nel periodo del Ramadan.

martedì 13 settembre 2016

La poesia turca di Nazim Hikmet.

Pioggia d'estate



Pioggia d'estate cade dentro di me
acini d'uva si schiacciano contro i miei vetri
gli occhi delle mie foglie sono abbagliati
pioggia d'estate cade dentro di me
piccioni d'argento volano dai miei tetti
la mia terra corre coi piedi nudi
pioggia d'estate cade dentro di me
una donna è scesa dal tram
i polpacci bianchi bagnati
pioggia d'estate cade dentro di me
senza rinfrescare la mia tristezza
pioggia d'estate cade dentro di me
all'improvviso s'arresta
il peso dell'afa è rimasto dov'era
al termine delle grosse rotaie 
arrugginite.

ill: Summer Rain Painting by Jani Freimann

giovedì 18 agosto 2016

Abbigliamento arabo tra passato e presente: burkini


Secondo la Legge Islamica, le donne possono praticare solo gli sport indicati dal Profeta e tra il tiro con l'arco, la corsa e la lotta libera, nelle hadīth (gli aneddoti raccontati da Maometto che costituiscono la seconda fonte di legge dopo il Corano) è previsto anche il nuoto, concesso a patto che venga eseguito con gli abiti adatti. 
Il Burqini o burkini ( parola formata dall’incontro tra Burqa e bikini) è un costume da bagno pensato e realizzato per le donne musulmane, in grado di coprire tutto il corpo, lasciando liberi il volto, le mani e i piedi. Ad inventarlo è stata Aheda Zanetti, australiana di origine libanese, che nel 2003 registrò il nome del suo costume da bagno, in regola con le norme di abbigliamento della sharia. Ogni donna musulmana, con questo costume può fare sport o fare il bagno al mare come qualunque ragazza o donna non musulmana senza tradire la propria identità culturale e religiosa tradizionale. E’ composto da tre pezzi : copricapo, casacca e pantaloni ed è talmente leggero da permettere di fare il bagno in tutta comodità. Venduto per anni negli Emirati Arabi Uniti e in Libia, il burkini è arrivato sugli scaffali dei negozi inglesi: una storica casa di moda londinese ha voluto introdurre anche in tutta Europa un prodotto molto venduto nei paesi del Medio Oriente.

giovedì 28 luglio 2016

Silenzio e solitudine - poesia tuareg


Solamente chi vive nel deserto
ne conosce il silenzio
che scende da ogni stella palpitante
e dalla bianca tomba della luna.
Si stende senza palpiti il deserto
simile al cuore di una donna morta
che nessuna carezza risveglia.
Solamente chi è perso nel deserto
senza canti di uccelli
né stormire di fronde
nell'arido grigiore
di pietra e sabbia
conosce la vera solitudine
Io mi sono disteso
in questa immensità che scava
di sotto ai nostri piedi
la cuna della tomba e del vagito.

sabato 18 giugno 2016

Proverbi tuareg



                   Quando c'è una meta, anche il deserto diventa strada. 

                   Chi corre sempre, saprà sempre meno cose di colui che resta 
                   calmo e riflette.

                  La pazienza è un albero: le radici sono molto amare, ma i frutti                                dolcissimi


                  Mettiti in cammino anche se l'ora non ti piace. Quando arriverai 
                  l'ora ti sarà  comunque gradita ...



sabato 4 giugno 2016

La cucina araba durante il Ramadan.


Paradossalmente non si cucina mai così tanto come in tempo di Ramadan. Al tramonto del sole, l "iftar" annunciato in tutte le città dalle sirene, segna la fine del digiuno. Il pasto inizia solitamente con un dattero perchè era così che il profeta Maometto rompeva il digiuno. Al centro tavola troneggia la “harira” fumante, zuppa marocchina a base di pomodori, lenticchie, ceci, riso e carne, piccante e all’aroma di limone. A seguire, tè, dolci, frittelle, uova, datteri...una mescolanza di sapori dolci e salati Gli chebbakia, nastri intrecciati di pasta fritta, aromatizzati al miele e spolverati di semi di sesamo, sono i dolci per eccellenza del Ramadan, ma bisogna ricordare che ogni paese islamico ha il proprio piatto tradizionalmente legato al Ramadan. L' “iftar” viene offerto a tutti; chi si trova fuori a quell’ora, può affacciarsi alla porta di una casa qualsiasi e riceverne. Spesso, verrà invitato a sedersi e a mangiare.

martedì 10 maggio 2016

L'Araba Fenice


Araba Fenice Bennu – Rappresentazione parietale egizia

La Fenice, nota come “Araba Fenice”, è un uccello mitologico che rinasce dalle proprie ceneri, dopo la morte.
Gli Egizi furono i primi a parlare del Bennu che poi nelle leggende greche divenne la Fenice. Uccello sacro favoloso, aveva l'aspetto di un'aquila reale e il piumaggio dal colore splendido, il collo color d'oro, rosse le piume del corpo, azzurra la coda con penne rosee, ali in parte d'oro e in parte di porpora, un lungo becco affusolato, lunghe zampe e due lunghe piume — una rosa e una azzurra — che le scivolano morbidamente oppure erette sulla sommità del capo.
Quando la Fenice sentiva sopraggiungere la sua morte, dopo aver vissuto per 500 anni, si ritirava in un luogo appartato e costruiva un nido sulla cima di una quercia o di una palma. Qui accatastava ramoscelli di mirto, incenso, sandalo, legno di cedro, cannella, spigonardo, mirra e le più pregiate piante balsamiche, con le quali intrecciava un nido. Infine vi si adagiava, lasciava che i raggi del sole l'incendiassero, e si lasciava consumare dalle sue stesse fiamme mentre cantava una canzone di rara bellezza.
Per via della cannella e della mirra che bruciavano, la morte di una fenice era spesso accompagnata da un gradevole profumo. Dal cumulo di cenere emergeva poi un piccolo uovo, che i raggi solari facevano crescere rapidamente fino a trasformarla nella nuova Fenice, dopodiché la giovane e potente Fenice, volava ad Heliopolis (città del Basso Egitto) per posarsi sopra l'albero sacro,«cantando così divinamente da incantare lo stesso Ra». Alcuni storici si domandano se sia veramente esistita la fenice e facendo riferimento alle opere dei poeti romani la considerano nulla di più di un prodotto della fantasia dei seguaci del Dio-Sole. Altri, tuttavia, credono che il mito possa essere basato sull'esistenza di un vero uccello che viveva nella regione allora governata dagli Assiri.

domenica 24 aprile 2016

Abbigliamento arabo tra passato e presente: djebba


Il costume tradizionale delle donne di Costantina (Algeria) è rappresentato dal djebba, indumento da cerimonia per eccellenza. Viene indossato in occasioni speciali come le nozze, o l’ outeyya (festa organizzata per la sposa, in generale 2 notti prima delle nozze) oppure per eventi culturali. Si tratta di un abito lungo, con maniche lunghe e senza collo confezionato in velluto spesso, raso pesante o ricco damasco. I colori più utilizzati sono il nero, il bordeaux , il blu e il verde e sono sempre in tonalità scure. La bellezza di questo vestito, di ispirazione ottomana, risiede oltre che  nella ricchezza dei tessuti, anche nei ricami in oro che ne decorano i bordi e impreziosiscono la scollatura. Le donne  usano abbinare all’abito, una cintura dello stesso tessuto con ricami in oro, argento e inserti in oro. Ai piedi  calzano delle babouches  in ugual stile. Quest’abito è conosciuto anche con il nome di “djebba Fergani” in riferimento alla famiglia che è stata precursore della “haute couture” di Costantina. Ogni donna che si sposa non rinuncia a una djebba Fergani, ma dato il costo oneroso dell’abito è diventata tradizione tramandare la djebba da madre a figlia.

sabato 26 marzo 2016

La leggenda del fiume e delle sabbie (una storia sufi)


Questa storia Sufi è una parabola carica di metafore che può solo essere compresa pienamente solo attraverso l’intelligenza del cuore. Una storia che  “deve essere assimilata, sorseggiata come un tè, goduta in uno stato d’animo rilassato”.


Un fiume,
dalla sorgente sulle montagne lontane,
dopo aver attraversato paesaggi
di ogni genere e forma,
raggiunse alla fine le sabbie del deserto.
Come aveva superato ogni altro ostacolo,
il fiume cercò di superare anche questo,
ma correndo nella sabbia s’accorse
che le sue acque scomparivano.

Era comunque convinto che il suo destino
fosse di attraversare questo deserto,
anche se non c’era mezzo per farlo.
Allora una voce nascosta,
che veniva dal deserto stesso, bisbigliò:
“II vento attraversa il deserto,
così può farlo il fiume”.

Il fiume obiettò
che si era lanciato con forza nella sabbia
con l’unico risultato di esserne assorbito,
mentre il vento poteva volare
e per questo riusciva ad attraversare il deserto.

“Lanciandoti con violenza
come sei abituato a fare,
non andrai mai dall’altra parte:
potrai scomparire e diventare un acquitrino.
Devi lasciare che il vento
ti trasporti dall’altra parte,
alla tua meta”.

“Ma come può accadere?”.
Lasciandoti assorbire nel vento”.
Il fiume non poteva accettare un’idea simile.
Dopotutto non era mai stato assorbito prima.
Non voleva perdere la sua Individualità.
E una volta persa,
come poteva sapere
se l’avrebbe mai riacquistata?

“Il vento”, disse la sabbia,
“ha questa funzione.
Solleva l’acqua verso l’alto,
la trasporta oltre il deserto,
quindi la lascia ricadere.
Cadendo come pioggia,
l’acqua diventa di nuovo un fiume”.

“Come posso essere sicuro che questo è vero?”.

“E’ così, e se non ci credi,
non diventerai altro che un acquitrino,
e anche in questo caso
potrebbero occorrere molti, molti anni;
e di certo non sarai mai più  un fiume”.

“Ma non posso restare lo stesso fiume
che sono ora?”.

“In nessun caso potresti”,
disse il sussurro.
“La tua parte essenziale viene trasportata lontano
e forma di nuovo un fiume.
Anche oggi vieni chiamato ‘fiume’
perché non sai quale parte in te
è quella essenziale”.

Nel sentire questo,
nei pensieri del fiume
iniziarono a risuonare echi lontani.
Vagamente,
ricordò uno stato in cui lui
– oppure era una parte di lui? –
era stato portato nelle braccia di un vento.
E ricordò anche
– oppure l’aveva fatto? —
che quella era la cosa reale da fare,
anche se non necessariamente la più ovvia.

Per cui il fiume levò il suo vapore
nelle braccia accoglienti del vento,
che dolcemente e con semplicità
lo fece salire verso l’alto e lo portò lontano,
per poi lasciarlo cadere delicatamente,
non appena raggiunsero la cima di una montagna,
molte, moltissime miglia più in là.
E poiché aveva avuto questi dubbi,
il fiume era ora in grado di ricordare
e conservare
in modo più vivo nella sua mente
i dettagli dell’esperienza.

Egli rifletteva:

“Sì, ora ho appreso la mia vera identità”.

Il fiume stava imparando.
Ma le sabbie sussurravano: “Noi sappiamo,
perché lo vediamo accadere giorno dopo giorno;
e perché noi, le sabbie,
ci estendiamo senza interruzione
dal fiume fino alla montagna”.

Per questo è detto
che il cammino lungo il quale il fiume della vita
deve continuare il suo viaggio
è scritto nelle sabbie.

Osho


lunedì 29 febbraio 2016

Detto Tuareg



                    “Dio ha creato paesi ricchi d’acqua perché gli uomini ci vivano, 
                                    i deserti perché vi trovino la propria anima”  

                     

venerdì 12 febbraio 2016

La poesia araba di Nizar Qabbani.

 L'amore, amore mio




                                                 L'amore, amore mio,
                                è una poesia graziosa scritta sulla luna,
                                l'amore è disegnato su tutte le foglie degli alberi,
                                                 l'amore è inciso
                                            sulle piume dei passeri
                                            sulle gocce di pioggia...  

Nizar Qabbani


giovedì 28 gennaio 2016

La terrazza proibita. (Vita nell'harem) di Fatema Mernissi

inizia così....



Venni al mondo nel 1940 in un harem di Fez, città marocchina del nono secolo, cinquemila chilometri circa a ovest della Mecca e solo mille chilometri a sud di Madrid, una delle temibili capitali cristiane.
Mio padre era solito dire che con i cristiani, e con le donne i guai nascono quando non vengono rispettati i hudùd, ovvero i sacri confini. Al tempo in cui nacqui, dunque, si era in pieno caos, perché né donne né cristiani volevano saperne di accettare i confini. E questo era evidente già sulla soglia di casa, dove le donne dell'harem discutevano e si accapigliavano con Hamed, l'uomo a guardia della porta, mentre per strada sfilavano i soldati stranieri che continuavano ad arrivare dal nord e che si erano stabiliti proprio in fondo alla nostra via, tra i quartieri vecchi e la Ville Nouvelle, la città nuova che si stavano costruendo. Secondo mio padre, non era un caso che Allah, creando la terra avesse separato uomini e donne, e messo un mare a dividere cristiani e musulmani. L'armonia esiste quando ogni gruppo rispetta i limiti dell'altro conformemente a quanto prescritto; passare quei limiti conduce solo al dolore e all'infelicità. 
E invece le donne, ossessionate dal mondo al di là della soglia di casa, altro non sognavano che di oltrepassarla, e andare a passeggio per vie sconosciute, mentre i cristiani continuavano ad attraversare quel mare, portando disordine e morte.
Sciagura e vento freddo vengono dal nord; e noi preghiamo rivolti verso l'est. La Mecca è lontana. La tua preghiera può giungere fin là, ma devi sapere come concentrarti. A tempo debito mi avrebbero insegnato a concentrarmi.
I soldati spagnoli si erano accampati a nord di Fez. Zio Alì e mio padre, che in città erano tanto potenti e in casa davano ordini a tutti, dovevano chiedere il permesso a Madrid, se volevano recarsi alla festa religiosa di Mawlày Abdelsalàm, vicino a Tangeri, a trecento chilometri di distanza. ma quei soldati fuori dalla nostra porta appartenevano a un'altra tribù: quella dei francesi, cristiani come gli spagnoli, ma che parlavano un'altra lingua e vivevano ancora più a nord. La loro capitale si chiamava Parigi e, secondo mio cugino Samìr, doveva trovarsi a duemila chilometri da noi, due volte più lontana di Madrid, e due volte più feroce. Come i musulmani, i cristiani avevano l'abitudine di combattersi tra di loro; e ogni volta che spagnoli e francesi varcavano il nostro confine, per poco non si ammazzavano a vicenda. Quando fu chiaro che nessuno dei due era in grado di sterminare l'altro, presero la decisione di tagliare in due il Marocco.....
......

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